L’obesità è una patologia cronica la cui diffusione è in continuo aumento, sia nei paesi industrializzati che in quelli in via di sviluppo (Calle EE, Kaaks R. 2004). L’obesità è più frequente nelle donne che negli uomini, sembra colpire maggiormente le fasce d’età più avanzate, con picco tra 65-75 anni, tuttavia è in crescente aumento quella infantile e adolescenziale; ad esempio, in Italia si stima che vi sia un 4% di bambini obesi, mentre ben il 20% è sovrappeso. Questo dato sull’obesità infantile è preoccupante perché potrebbe essere responsabile, per la prima volta nella storia dell’umanità, di una riduzione dell’aspettativa di vita nelle nuove generazioni.
Approcci differenti sono stati utilizzati al fine di studiare geni di suscettibilità all’obesità; in particolare, sono stati analizzati geni e proteine che regolano appetito e sazietà (colecistochinina, neuropeptide Y, melanocortina e leptina), sensibilità insulinica e metabolismo glicidico nel muscolo e in altri tessuti periferici (insulina e recettore dell’insulina), geni che regolano il metabolismo del tessuto adiposo (lipoproteina lipasi) e la spesa energetica (AMP-activated protein kinase).
Associazioni significative sono state riscontrate per comuni polimorfismi nei geni per i recettori beta-adrenergici, per il PPARγ (Peroxisome Proliferator- Activated Receptor gamma), per la leptina e il suo recettore, per le proteine UCP (Uncoupling Protein1-3) e per il TNFα (Tumor Necrosis Factor alpha).
Varianti alleliche di questi geni possono favorire l’insorgenza dell’obesità; tuttavia, una singola mutazione raramente è responsabile di questa patologia (1-4% dei casi); nella maggior parte dei casi essa è dovuta all’interazione di più geni predisponenti con l’ambiente.
Un ruolo molto importante nello sviluppo dell’ obesità è svolto dagli ormoni che regolano la fame e la sazietà. Ne possiamo identificare due tipologie di ormoni che regolano la fame nel breve e nel lungo termine. Tra quelli a breve termine si può considerare l’esempio della ghrelina. La ghrelina è un ormone prodotto dalle cellule del fondo gastrico in condizioni di digiuno. Tra le sue azioni principali c’è l’induzione di appetito nei nuclei ipotalamici. In condizioni di dilatazione dello stomaco in seguito all’assunzione del cibo, viene inibita la produzione di ghrelina, riducendo in tal modo lo stimolo appetivo.
Di altro tipo sono gli stimoli ormonali che partono dal tessuto adiposo. Infatti, l’accumulo progressivo di lipidi nelle cellule adiposa determina un aumento della produzione di leptina e di altre molecole azione pro-infiammatoria (come ad esempio di citochine come interleuchina-6 e TNF-alfa). La leptina è un ormone con attività anoressizzante legandosi a neuroni specifici nei nuclei ipotalamici. Di contro, si riduce la produzione di adiponectina, un ormone con funzioni insulino-sensibilizzanti e di protezione cardiovascolare.
L’obesità è un fattore di rischio per varie patologie tra le quali il diabete mellito di tipo 2, l’ipertensione, le malattie cardiache, l’ipercolesterolemia e l’infarto. Anche alcune patologie non mortali ma invalidanti, come l’osteoartrite, l’apnea ostruttiva del sonno e patologie psichiatriche presentano una correlazione con l’eccesso ponderale
L’obesità aumenta il rischio generale di cancro, ed è fortemente associata con alcune neoplasie tra cui il cancro della prostata, della cervice uterina, della mammella, linfomi Non Hodgkin e tumori del tubo digerente. Una metanalisi evidenzia come, in Europa, 72.000 casi di cancro ogni anno siano attribuibili ad un eccesso ponderale
Nei soggetti diabetici, l’insorgenza del cancro può essere dovuta sia a meccanismi che ne promuovono l’inizio o la progressione – le cui alterazioni influenzano poi gli altri tessuti – sia a meccanismi sito-specifici che influenzano la carcinogenesi di un particolare organo (Vignieri et al. 2009).
Capite benissimo che per trattare e combattere l’eccesso di peso, se esso non dovesse dipendere esclusivamente dall’errato stile di vita, come in molti e per la maggior parte dei casi è , bisogna adottare un sistema a multi livello che si basa su una serie di test diagnostici, come ad esempio il glucosio a digiuno e il livello di insulinemia a digiuno e fare una relazione con gli indici HOMA che in base a questi dati ci permettono di predire una certa insulino resistenza con valori che dovrebbero essere inferiori al 2,5. Poi bisognerebbe fare riferimento a una analisi ormonale completa di ormoni quali la leptina che e’ l’ormone che regola la sazieta’, la grelina che regola la fame, l’adiponectina che migliora la sensibilita’ dei tessuti all’insulina, oltre al colesterolo, ai trigliceridi e alle transaminasi, in quanto un’alterata glicemia porta nel tempo ad avere anche problemi di natura epatica.
Per non parlare dei recenti test genetici accennati prima che sono predittivi di una predisposizione a numerose malattie e che con una alimentazione preventiva possono essere fortemente rallentati nell’insorgere
Buona giornata