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Etichettatura degli alimenti, DOP, IGP, frodi, inganni alimentari, Coltivazione Biologica

Tutto ciò che ci interessa da vicino per proteggerci dalle invasioni di bassa qualità, tutelare il mercato comune e permettere ai consumatori una scelta consapevole di quello che introducono nel loro corpo come alimenti. Questi sono solo alcuni dei temi trattati in sede legislativa europea per l’alimentazione. I nostri diritti non devono mai essere calpestati e avendo l’Italia la qualità alimentare migliore del mondo essa deve essere tutelata anche con norme aggiuntive che meglio indirizzano l’acquisto consapevole da parte del cliente.

Arance dal Marocco, Olive dalla Tunisia, Grano duro dal Canada, Pomodoro dalla Cina, queste sono tra le principali importazioni dei prodotti tra i più usati dagli Italiani. Non sono sufficienti le produzioni italiane per soddisfare le nostre esigenze. Ma in realtà non e’ cosi, poiché molta produzione italiana va all’estero.
Muoviamoci per tutelare le agricolture made in Italy e le produzioni per l’Italia , facciamo in modo che almeno gli italiani abbiano la possibilità di scegliere se vogliono mangiare una spremuta fatta con arance provenienti da paesi fuori europa e a volte ricche di pesticidi da noi assenti perché tossici, o un olio di oliva realmente italiano o una pasta senza glifosilato e soprattutto con un sugo di pomodoro non cinese. Al momento questo non ce lo garantisce nessuno se non lo andiamo a cercare e lo imponiamo sulle etichette. Parallelamente al regolamento europeo, che entrerà in vigore a partire da aprile 2020, in Italia dal 2016 sono stati approvati degli importanti decreti legge che obbligano l’indicazione d’origine solo per quattro tipologie di alimenti: latte e derivati, grano duro, pomodoro e riso. Ma questo non sempre e’ rispettato in attesa del regolamento europeo.  I prodotti provenienti da paesi della comunita’ europea hanno la possibilita’ di essere liberamente commercializzati e venduti . L’obiettivo è quello di tutelare maggiormente le produzioni nazionali, promuovendo la scelta del consumatore verso prodotti “nostrani”. Se da un lato appare un provvedimento volto ad incentivare l’economia interna, dall’altro, il principio di qualità legato alla localizzazione del territorio si scontra con l’idea europea del mercato unico, per il quale i prodotti alimentari provenienti da diversi Paesi dell’Unione sono da considerarsi equiparabili sia dal punto di vista merceologico che qualitativo. La vera differenza riguarda i prodotti a Denominazione di origine protetta, per cui vi è la dimostrazione che luogo e modalità di preparazione influiscono profondamente sulla qualità organolettica finale dell’alimento. Ci sono diversi settori che a livello Europeo e Italiano devono attirare l’attenzione dei legislatori per evitare le frodi ( ingredienti diversi da quelli indicati o di una origine diversa) , l’inganno  dei consumatori che è punito con sanzioni severe ( indurre un consumatore a credere determinate cose che non sono vere ) e l’agricoltura biologica che vede in Italia una serie di norme applicative molto più rigide rispetto al resto dell’Europa
La tutela della qualità delle produzioni agroalimentari è, in sede europea, un complemento alla politica di sviluppo rurale e alle politiche di sostegno dei mercati e dei redditi nell’ambito della politica agricola comune e rappresenta in particolare per l’Italia uno dei principali obiettivi della politica agroalimentare.

La disciplina sull’etichettatura dei prodotti e sulle conseguenti informazioni ai consumatori costituisce anch’essa un aspetto della tutela della qualità del prodotto. L’Italia ha quindi implementato la legislazione europea, con norme interne finalizzate alla tutela delle produzioni agroalimentari di qualità, come quelle che prevedono l’indicazione obbligatoria dell’origine della materia prima in etichetta per taluni prodotti agricoli. L’etichettatura dei prodotti alimentari e l’origine dei prodotti: il Reg. UE 1169/2011 e la legge n. 4 del 2011. In merito all’indicazione in etichetta dell’origine del prodotto, l’impostazione ancora prevalente in sede europea tende a ritenere – in generale – incompatibile con il mercato unico la presunzione che vi sia una particolare qualità legata alla localizzazione nel territorio nazionale di un prodotto alimentare, perché discriminatorio nei confronti degli altri Stati membri. In sostanza, si ritiene che se due prodotti provenienti da Paesi europei diversi non presentano alcuna differenza sul piano merceologico, chimico, organolettico, non vi è alcuna necessità di indicarne l’origine in quanto questa non sarebbe una informazione necessaria. Fanno eccezione solo i prodotti a denominazione di origine protetta (Dop) e a indicazioni di provenienza protette (Igp), per le quali l’indicazione della provenienza costituisce uno degli elementi qualificanti del disciplinare di produzione e dunque della particolare qualità del prodotto stesso. Per gli altri prodotti, vige il principio che l’indicazione del luogo d’origine o di provenienza è obbligatoria solo se la relativa omissione può indurre in errore il consumatore circa l’origine o la provenienza effettiva del prodotto alimentare. Tale principio è stato confermato da ultimo dal Regolamento n. 1169/2011 (UE), il quale si applica a tutti gli alimenti destinati al consumatore finale, inclusi i prodotti destinati al consumo immediato presso ristoranti, mense, scuole, ospedali e imprese di ristorazione (non ricompresi dalla precedente direttiva 2000/13/UE). Restano esclusi dall’ambito di applicazione del regolamento gli alimenti non preimballati, gli alimenti imballati nei luoghi di vendita su richiesta del consumatore o preimballati per la vendita diretta. Per alcune tipologie di carni, quelle fresche, refrigerate o congelate di animali della specie suina, ovina, caprina e di volatili è stato, invece, introdotto dallo stesso regolamento 1169 l’obbligo dell’indicazione del luogo di origine, indipendenetemente dalla possibilità o meno che la mancata indicazione possa indurre in errore il consumatore. Tale indicazione è stata resa operativa attraverso l’approvazione del regolamento di esecuzione (UE) n.1337/2013 della Commissione. Per le carni bovine l’obbligo di indicazione di origine (paese di nascita, ingrasso e macello) è già esistente sulla base della normativa europea sopravvenuta ai fenomeni di encefalopatia spongiforme bovina (la cosiddetta “mucca pazza”). E’ previsto per alcuni alimenti, l’indicazione dell’origine, in forza di norme europee diverse e specifiche rispetto a quelle del Regolamento 1169/2011 . Si tratta, in particolare, di: miele , ortofrutticoli freschi , prodotti della pesca non trasformati , olio di oliva vergine ed extra vergine, vino,uova,pollame importato , bevande spiritose.  Si segnala che, recentemente, è stato emanato il regolamento di esecuzione (UE) 2018/775 della Commissione, recante modalità di applicazione dell’articolo 26, paragrafo 3, del suddetto regolamento (UE) n. 1169/2011 relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, per quanto riguarda le norme sull’indicazione del paese d’origine o del luogo di provenienza dell’ingrediente primario di un alimento (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea del 29 maggio 2018). Tale regolamento (che non si applica alle indicazioni geografiche protette a norma della regolamentazione dell’Unione europea e ai marchi di impresa registrati) prevede, in particolare (art. 2), che debba essere indicato il paese d’origine o il luogo di provenienza di un ingrediente primario, quando non sia lo stesso di quello indicato per l’alimento per il quale risulta obbligatoria l’indicazione di origine in relazione alla possibilità di inganno del consumatore, si applica, come anticipato, a decorrere dal 1° aprile 2020. L’obbligo di indicare in etichetta la sede di stabilimento o di confezionamento non si applica ai prodotti preimballati che provengono da un altro Stato membro dell’Unione europea o dalla Turchia né ai prodotti provenienti da uno Stato membro dell’Associazione europea di libero scambio (EFTA), c.d. clausola di mutuo riconoscimento. Viene previsto che le nuove disposizioni abbiano effetto decorsi 180 giorni dalla data di pubblicazione del provvedimento e che gli alimenti immessi sul mercato nei 180 giorni successivi alla pubblicazione del provvedimento, etichettati senza l’indicazione della sede dello stabilimento di produzione o di confezionamento possano essere commercializzati fino ad esaurimento delle scorte.

La produzione biologica si basa invece sulle seguenti prescrizioni: divieto di uso OGM, salvo una percentuale minima entro lo 0,1% considerata non accidentale; divieto di uso di radiazioni ionizzanti per il trattamento di alimenti o mangimi; facoltà per un’azienda agricola di dedicarsi a diversi tipologie di produzione; in tal caso è richiesta, comunque, una separazione per le unità di azienda dedite alla produzione secondo procedimento biologico; Per la produzione vegetale è richiesto: l’utilizzo di tecniche di lavorazione che implementino il contenuto di materia organica del suolo e limitino l’inquinamento dell’ambiente; la rotazione pluriennale delle colture; la concimazione con concime naturale o con i soli concimi ed ammendanti appositamente autorizzati per la tipo di produzione (è escluso l’uso di concimi minerali azotati); l’utilizzo di tecniche naturali di prevenzione per i danni provocati da parassiti e, in caso di grave danno per la coltura, l’utilizzo dei soli fitosanitari autorizzati; l’utilizzo di sole sementi e materiali di propagazione vegetale biologici. Per la produzione animale è previsto che: gli animali biologici nascono e sono allevati in aziende biologiche; in caso di animali immessi dopo esser stati allevati con metodo non biologico, possono essere considerati tali dopo un periodo di conversione; solo al termine del quale possono essere etichettati come biologici; le pratiche zootecniche devono essere indirizzate per garantire il benessere animale in termini di densità, condizioni di stabulazione, accesso agli spazi all’aria aperta, riduzione al minimo del sovrapascolo, riduzione dei tempi per il trasporto, separazione con gli altri animali non allevati con metodo biologico.

La produzione biologica è un sistema di gestione sostenibile che si basa sui seguenti principi generali a) rispettare i sistemi e i cicli naturali e mantenere e migliorare lo stato dei suoli, delle acque e dell’aria, la salute dei vegetali e degli animali e l’equilibrio tra di essi; b) preservare elementi del paesaggio naturale, come i siti del patrimonio naturale; c) assicurare un impiego responsabile dell’energia e delle risorse naturali come l’acqua, il suolo, la sostanza organica e l’aria; d) produrre un’ampia varietà di alimenti e altri prodotti agricoli e dell’acquacoltura di elevata qualità che rispondano alla domanda dei consumatori di prodotti ottenuti con procedimenti che non danneggino l’ambiente, la salute umana, la salute dei vegetali o la salute e il benessere degli animali; e) garantire l’integrità della produzione biologica in tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione di alimenti e mangimi; f) progettare e gestire in modo appropriato processi biologici basati su sistemi ecologici e impiegando risorse naturali interne al sistema di gestione, con metodi che: i) utilizzano organismi viventi e metodi di produzione meccanici; ii) praticano la coltura di vegetali nel suolo e la produzione animale legata alla terra, o l’acquacoltura nel rispetto del principio dello sfruttamento sostenibile delle risorse acquatiche; iii) escludono l’uso di OGM, dei prodotti derivati da OGM e dei prodotti ottenuti da OGM che non siano medicinali veterinari; iv) si basano sulla valutazione del rischio e, se del caso, si avvalgono di misure precauzionali e di misure preventive; g) limitare l’uso di fattori di produzione esterni; qualora siano necessari fattori di produzione esterni ovvero non esistano le pratiche e i metodi di gestione appropriati di cui alla lettera f), i fattori di produzione esterni si limitano a: i) fattori di produzione provenienti da produzione biologica; ii) sostanze naturali o derivate da sostanze naturali; iii) concimi minerali a bassa solubilità; h) adattare il processo di produzione, ove necessario e nel quadro del presente regolamento, per tenere conto delle condizioni sanitarie, delle diversità regionali in materia di equilibrio ecologico, climatico e delle condizioni locali, dei vari stadi di sviluppo e delle particolari pratiche zootecniche; i) escludere dall’intera catena dell’alimentazione biologica la clonazione animale, l’allevamento di animali poliploidi artificialmente indotti e le radiazioni ionizzanti; j) mantenere un elevato livello di benessere degli animali rispettando le esigenze specifiche delle specie. Tra le norme di produzione biologica, si segnala il divieto di uso di organismi geneticamente modificati (OGM) negli alimenti, o nei mangimi, o come prodotti fitosanitari, concimi, ammendanti, materiale riproduttivo vegetale, microorganismi o animali in produzione biologica.

Basterebbe comunque che le aziende italiane indicassero esattamente in etichetta l’origine di tutti gli ingredienti , non essendo obbligatoria in sede europea, non e’ per la commercializzazione dei prodotti italiani in italia neppure vietato, e potrebbe essere indicatore ulteriore di qualita’. Gli IGP e i DOP sono già molto utili, ma per il resto e per il Biologico ulteriori indicazioni “volontarie” potrebbero risultare essenziali, mantenendo sempre alta la vigilanza verso prodotti stranieri che sfruttando il potere di vendita dell’italianità possono indurre in inganno il consumatore usando termini e disegni che richiamando il bel paese lo danneggiano indirettamente con la messa in commercio di prodotti di bassa qualità che se consumati da ignari acquirenti danneggiano la nostra immagine e danneggiano il mercato.  

Marco Zanetti

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